mercoledì 2 febbraio 2011

LOCARNO - TORINO

Il lago non è silenzio da Tavor, è silenzio vero della natura in equilibrio con se stessa.
Le masse d’acqua attraggono l’attenzione, calamitano il tuo sguardo catturandone l’intensità.
Il lago è materia per grandi scrittori ed io non riesco a dire delle rive rocciose che scivolano nell’acqua scura, delle piccole onde che battono sulla spiaggia di ciotoli rotondi, degli insetti che rimbalzano sul pelo dell’acqua, di come mi viene il groppo alla gola quando sento “i tuoi capelli fermi come il lago” e penso a Manzoni quante volte di mille volte ancora deve essersi commosso da lui medesimo, come l’avesse scritto un altro “quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi..”.
Locarno è inghirlandata per il suo Festival del Cinema, le signore svizzero-italiane di una certa età prendono il sole in topless sulle spiaggette del lungolago.
Mi fermo in un bar gestito da due signore anziane che sembrano gemelle, buoni panini ottima birra, stupenda vista sul lago. Se pago in euro non mi danno resto in monete, mi dice “Qui siamo in svizzera, prendiamo solo franchi” e fa il conto tondo, maggiorato. Ecco che mi compare il dubbio sulla vera provenienza della ricchezza svizzera: si sono fatti i soldi con tutti i resti non dati. Tante cose non restituite, non rubate, che la gente ha portato lì e loro hanno trasformato in sigarette e cioccolato che rivendevano agli stessi che lasciavano le cose in deposito.
Guido con la sola mano dell’acceleratore, e prima che Liam Gallagher degli Oasis intoni lamentoso “so Sally can wait….” nella mia testa, sono partito piano piano e decido di accarezzare tutto il lago, e poi di non smettere più e continuare sulle strade statali e provinciali per tutta la strada del ritorno.
Entro in Italia che sono molto contento e Cannobbio è più bella che tutta la Svizzera messa insieme, bei ristoranti, ciotolato e il lago preso sul serio come a Verbania, Intra, Pallanza e poi Stresa dove mi fermo per un bel gelato italiano e guardo Laveno dall’altra parte del lago e poi le Isole Borromee e sull’altra sponda l’eremo di Santa Caterina, tanti ciclisti che pedalano ed il lago è grande, qui fa una grande pancia, si può andare in motoscafo, poi fino giù ad Arona,. E sogno ad occhi aperti dalla panchina lungolago che tutto andrà per il meglio, che tutta questa mancanza di sale nell’acqua dolce del lago serve in ogni caso a non aumentarmi la pressione.
Voglio tagliare la discesa a Torino passando da due direttrici che tengo a mente per prendere la direzione giusta: Rovasenda e Saluggia.
A Rovasenda perché ci sono le risaie di baraggia che non so bene cosa siano (e non ho voglia adesso di copiare ed incollare da wikipedia delle cose di cui non conosco minimamente la provenienza culturale e probabilmente non sono nemmeno disambiguate) allora provo a scrivere ad intuito da quello che ho visto con gli occhi. Per me le risaie di baraggia sono delle risaie naturali, cioè dislivelli nel terreno che da sempre ci sono e dove le acque del Sesia stagnavano e quindi qui sono nate le prime risaie native e quindi il riso che nasce qui è indigeno.
A Saluggia perché c’è l’ex reattore nucleare a fissione Avogadro e fa sempre un po’ effetto passare vicino ad un sito di stoccaggio nucleare.
Arrivo a Torino dopo circa 450 chilometri da solo con la mia moto. Sono partito malato e tornato sano.
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